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La medicina cinese nella pratica clinica occidentale

Erbe Officinali 
19.05.2011
Lo scienziato americano Yung-Chi Cheng della Yale University School of Medicine sarà ospite di Sardegna Ricerche presso il Parco tecnologico di Pula, per tenere una conferenza sul tema "Perché e come studiare le erbe medicinali della tradizione cinese per la cura delle malattie dell'uomo". L'illustre farmacologo parlerà dei problemi e delle opportunità derivanti dall'introduzione della medicina tradizionale cinese nella pratica clinica occidentale. In particolare il seminario verterà sui risultati ottenuti su pazienti tumorali associando un'antica formula cinese, PHY906, ai farmaci chemioterapici.

In previsione della conferenza del prof. Cheng abbiamo rivolto alcune domande al virologo dell'Università di Cagliari, Enzo Tramontano.

Professore, ci può tracciare un profilo del prof. Cheng?
Yung-Chi Cheng, è "Henry Bronson Professor of Pharmacology", presso la prestigiosissima Yale University School of Medicine, a New Haven, nel Connecticut (USA), inoltre è Direttore del Programma di sviluppo di chemioterapici presso il "Yale Comprehensive Cancer Center". È presidente o membro di più di venti commissioni internazionali di ricerca e valutazione della ricerca americane, europee e cinesi. Ha pubblicato più di 400 articoli scientifici in riviste internazionali e nei suoi laboratori sono stati scoperti tre farmaci attualmente usati nella clinica (ganciclovir, per infezioni da citomegalovirus; lamivudine e clevudine, per infezioni da HBV), mentre altri tre agenti chimici e una formulazione (tratta dalla medicina tradizionale cinese) sono in fase di sperimentazione clinica per le infezioni da HIV e HBV.
Negli ultimi anni della sua ricchissima carriera, il prof. Cheng si è interessato di medicina tradizionale cinese (TCM) dal punto di vista della medicina occidentale. A questo scopo ha fondato il Consorzio Internazionale per la globalizzazione della medicina cinese, a cui partecipano più di 100 università di tutto il mondo, tra cui anche quella di Cagliari, e decine di aziende farmaceutiche, perché sia possibile valutare gli effetti di estratti di erbe che hanno una tradizione millenaria secondo i rigidi parametri della scienza occidentale.

Com'è nata l'occasione di ospitarlo a Cagliari?
L'occasione di ospitarlo è dovuta al fatto che io ho avuto l'onore di lavorare per più di quattro anni nel suo laboratorio presso la Yale University e tutt'ora il mio gruppo di ricerca collabora attivamente con il prof. Cheng in una serie di ricerche nel campo della virologia.

Qual è il ruolo dell'Università di Cagliari rispetto alla TCM e allo studio delle piante officinali autoctone?
Come dicevo prima, l'Università di Cagliari è membro del Consorzio Internazionale per la globalizzazione della medicina cinese. In particolare il prof. Mauro Ballero, che è un botanico, ed io, che sono un virologo, entrambi appartenenti al Dipartimento di Scienze della vita e dell'ambiente, abbiamo in atto collaborazioni con alcuni istituti di ricerca cinesi, per esempio l'Università di Hong Kong e l'Accademia delle Scienze Mediche di Pechino. Il mio gruppo di ricerca è particolarmente interessato allo sviluppo di farmaci antivirali di origine vegetale. Tenga conto che poi, a partire dalla medicina tradizionale cinese, si affronta in realtà il problema dell'efficacia di estratti vegetali provenienti dalla tradizione di qualunque paese del mondo comprese le piante endogene sarde.

A che punto è il processo di avvicinamento della medicina occidentale alla TCM?
Bisognerebbe parlare dell’avvicinamento della TCM alla medicina occidentale. Il tentativo è innanzitutto quello di verificare, secondo parametri scientifici internazionalmente riconosciuti, la reale efficacia dei trattamenti previsti dalla TCM. Si parla quindi di valutazione di efficacia evidence based. Tutto ciò tenendo conto che mentre l'approccio a cui siamo abituati prevede l'uso di un farmaco, o al più un cocktail di farmaci, su un certo bersaglio, la TCM prevede sempre l'uso di più agenti chimici che hanno effetti su più organi (si parla di un approccio olistico, che permette il ristabilirsi dell'equilibrio dell'organismo). Ci sono poi una serie di problematiche correlate, ma in realtà veramente essenziali, quali la standardizzazione delle metodologie per ottenere gli estratti, la loro composizione, la necessità di tutti i componenti o solo di alcuni di essi per ottenere un effetto biologico, la definizione del meccanismo di azione, la sicurezza degli estratti e così via.

Qual è l'importanza dei farmaci cinesi? Sono già entrati nella pratica clinica occidentale?
A mia conoscenza l'uso della formula tradizionale cinese studiata da Cheng, PHY906, è il primo esempio di uno studio di questo genere, giunto alla fase di sperimentazione clinica come terapia adiuvante in pazienti tumorali che subiscono una trattamento chemioterapico. Questa formulazione vegetale contiene circa 60 composti e per studiarla sono state messe a punto metodiche per monitorare contemporaneamente nei pazienti i parametri farmacocinetici di tutti i componenti e dei loro metaboliti. Inoltre sono stati svolti studi molto approfonditi di trascrittomica, proteomica e metabolomica per comprendere il meccanismo di azione dell'effetto sinergico osservato in associazione a farmaci chemioterapici quali l'irinotecan e il 5-fluorouracile. La strada per una pratica clinica diffusa è ancora molto lunga, ma oltre che complessa è anche molto affascinante e potrà avere effetti potenzialmente su numerosi tipi di patologie.

Sandro Angioni
Sviluppo e Relazioni Esterne, Sardegna Ricerche

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Link utili
Consorzio Internazionale per la globalizzazione della medicina cinese