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Chernobyl: deboli tracce anche in Sardegna

 
16.05.2006
Che effetti furono registrati in Sardegna dopo l'incidente di Chernobyl? Che tracce possiamo ancora riscontrare a vent'anni di distanza? Lo abbiamo chiesto a Paolo Randaccio, docente di Fisica Applicata all'Università di Cagliari e ricercatore dell'INFN (Istituto nazionale di fisica nucleare).

Cosa avete misurato in Sardegna appena avete avuto notizia dell'incidente? "Dal 3 al 6 maggio 1986 la Sardegna è stata interessata, solo marginalmente, dalla nube contenente gli isotopi radioattivi Iodio 131 e Cesio 137, già impoverita dopo aver percorso sutta l'Europa da nord a sud. Abbiamo analizzato campioni di carne, molluschi latte e vegetali, riscontrando negli ultimi due la presenza di Iodio radioattivo. Ma per via del suo tempo di decadimento lo Iodo è ritornato a valori normali nell'arco di due settimane".

Quali tracce restano sul suolo sardo? "Una presenza di Cesio, in terra e sabbia esposta in quei giorni, assolutamente trascurabile per quanto riguarda l'aspetto sanitario, ma utile a datare i terreni. Attualmente il contributo alla dose di radiazioni dovuto all'impiego industriale di sorgenti di radiazioni - spiega Randaccio - è inferiore all'uno per cento. La maggior parte, circa il 75%, è dovuto al fondo naturale. "Attualmente il contributo alla dose di radiazioni dovuto all'impiego industriale di sorgenti di radiazioni - spiega Randaccio - è inferiore all'uno per cento. La maggior parte, esattamente il 75%, è dovuto al fondo naturale".

Come si compone il fondo naturale? "Il contributo alla radioattività naturale viene principalmente da tre radioisotopi: il Potassio 40 (K 40), l'Uranio 238 (U 238) e il Torio 232 (Th 232), i quali hanno un tempo di decadimento di molti miliardi di anni, perciò si trovano ancora in grande abbondanza. Invece i radioisotopi naturali dotati di un tempo di decadimento più breve sono quasi del tutto scomparsi: è il caso dell'Uranio 235, il radiosotopo con il quale si può produrre energia nucleare, la cui abbondanza è inferiore all'uno per cento rispetto all'U 238. La diffusione del K 40 è elevatissima, soprattutto nei sali disciolti in acqua di mare, inoltre, essendo indispensabile per il metabolismo, risulta che tutti gli organismi viventi ne incorporano una piccola quantità e con essa una leggera radioattività. Il K 40 a seguito del decadimento si può trasformare sia in Calcio che in Argon: la grande disponibilità di Argon è dovuta alla grande abbondanza di K 40. L'Uranio 238 è altrettanto abbondante e si trova in tutti i terreni, rocce, materiali da costruzione. Nelle case in muratura in cui abitiamo è presente una quantità di U 238 pari a circa 100 grammi, ovviamente in una abitazione di notevoli dimensioni si arriva a vari chilogrammi; il calcolo da fare è abbastanza semplice: circa tre milligrammi di U 238 per ogni chilogrammo di materiale da costruzione. Fortunatamente l'Uranio non entra nel metabolismo e quindi la contaminazione interna da U 238 è molto modesta. C'è però un problema connesso all'U 238 ed è la produzione di Radon che è un gas radioattivo generato a seguito di ripetuti decadimenti dei radiosotopi prodotti dall'U 238".

Dove si trova il Radon? "Il Radon emesso dal sottosuolo e in parte dai materiali da costruzione entra nelle abitazioni e viene inalato dalle persone che vi abitano. Le norme internazionali di protezione dalle radiazioni raccomandano dei controlli del Radon nelle case per verificare che non si superino i limiti di attenzione, ma attualmente la legislazione italiana non prevede controlli nelle abitazioni né fissa valori massimi di concentrazione di Radon nelle case. Sono state fatte delle campagne di misura di Radon che hanno mostrato valori mediamente bassi ma con alcuni picchi molto alti rispetto ai valori consigliati dalle normative vigenti in altri paesi europei. Il Radon attualmente contribuisce per circa il 40% della dose da radiazioni alla popolazione, circa il 20% è da attribuire alle indagini radiologiche, circa il 10% al K 40 incorporato, il resto è dovuto alla radiazione cosmica e all'irraggiamento esterno dovuto ai radioisotopi presenti nell'ambiente. Va anche detto che il Radon si scioglie facilmente in acqua e la sua presenza è riscontrabile nelle acque minerali, una moderata quantità di Radon è un indicatore della genuinità dell'acqua di sorgente dato che l'acqua proveniente dai bacini non contiene Radon. Un tempo nelle bottiglie di acqua minerale era indicata nella etichetta la quantità di radioattività alla sorgente e si supponeva che la presenza di radioattività presentasse dei vantaggi per la salute; successivamente questa indicazione è stata eliminata".

LaboRad: analisi della radioattività
Anche le scuole possono partecipare
Il gruppo di Fisica Applicata della Sezione di Cagliari dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e del Dipartimento di Fisica dell'Università di Cagliari sono a disposizione di Scuole, Istituzioni, anche singoli cittadini, interessati a osservare semplici fenomeni che mettono in evidenza la presenza della radioattività naturale. Alle Scuole viene offerta la possibilità di costruire un piccolo laboratorio per la misura della radioattività contenuta nell'aria, nei materiali per l'edilizia, nelle rocce e nelle acque di sorgente. Il tutto utilizzando semplici rivelatori di tracce nucleari. Agli studenti degli istituti tecnici viene proposta la costruzione di strumenti elettronici per la misura diretta delle radiazioni emesse dai radioisotopi naturali. Misurare queste radiazioni è semplificato dal fatto che esse producono un segnale elettrico molto intenso e quindi facilmente rilevabile.

Andrea Mameli
Ricercatore CRS4


Biografia
Paolo Randaccio
E' responsabile del laboratorio di radioattività ambientale, incaricato dall'Università di Cagliari per la protezione dalle radiazioni nei laboratori dove sono impiegati radiosotopi e tubi radiogeni. Le attività di ricerca principali, condotte con finanziamenti dell'INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare), sono relative alla progettazione e alla realizzazione di apparecchiature medicali di concezione innovativa.

Link utili
Il progetto LABORAD