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RICERCA E SVILUPPO TECNOLOGICO IN SARDEGNA
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Genetica, malattie e caratteri dei sardi

 
Tutti gli organismi viventi presenti nel nostro pianeta contengono al loro interno un progetto lineare formato da differenti combinazioni di 4 composti chimici chiamati nucleotidi che nella loro concatenazione formano il DNA. Tale molecola, formata da una doppia elica di catene nucleotidiche appaiate secondo specifiche regole di complementarietà, consente il processo di divisione delle cellule e di riproduzione degli organismi, inoltre contiene le istruzioni per la sintesi delle componenti essenziali delle cellule. Queste sono formate da differenti combinazioni di 20 aminoacidi che a loro volta rappresentano le unità costitutive di molcole più complesse: le proteine.

All'interno delle cellule è contenuto un complesso ed elegante algoritmo, che prende il nome di codice genetico, al quale è affidato il governo del sistema operativo intracellulare responsabile della traduzione dell'informazione genetica dal linguaggio chimico del DNA al linguaggio, sempre chimico, degli aminoacidi/proteine che rappresentano le componenti operative e strutturali delle cellule.

Mentre il codice genetico, con piccole variazioni, è conservato in tutti gli esseri viventi, suggerendo la loro origine da un progenitore comune, la sequenza dei singoli blocchi costitutivi (o nucleotidi) tende a essere diversa negli delle organismi differenti specie. Queste variazioni sono legate al fatto che il DNA non è un'entità immutabile ma tende, seppure con frequenza molto bassa, ad accumulare cambiamenti: le mutazioni. Queste avvengono essenzialmente in seguito ad errori nella copiatura delle basi azotate (costituenti distintivi dei nucleotidi) durante la replicazione delle molecole di DNA, evento chiave nella divisione delle cellule.

Sono proprio tali mutazioni ad aver generato l'enorme variabilità con cui la vita si manifesta sulla Terra. Il DNA dei viventi rappresenta quindi un registro in cui sono catalogate una serie di informazioni sull'evoluzione della vita sul nostro pianeta. Le differenze e le affinità fra gli esseri viventi possono essere viste in termini di percentuali di condivisione nella sequenza del DNA, percentuali che a loro volta sono indicative dei tempi di separazione fra specie e, all'interno delle specie, tra popolazioni di individui.

Calcolando il tempo medio con cui si manifestano le mutazioni del DNA, e avendo a disposizione la sequenza completa del DNA di una serie di organismi, è stato per esempio possibile stabilire che il progenitore comune di tutti gli esseri viventi (animali, piante, funghi, protozoi e microbi) era un organismo unicellularevissuto durante la prima infanzia del nostro pianeta: circa 3.8 miliardi di anni fa. E' stato possibile chiarire che il nostro DNA è identico per oltre il 96.5% a quello degli scimpanzé, con i quali abbiamo un progenitore comune vissuto circa 5 milioni di anni fa. I dati a nostra disposizione indicano con chiarezza che siamo una specie omogenea e che quindi mostra poche differenze tra individui diversi: basti pensare che fra due persone prese a caso nel mondo tali differenze sono dell'ordine dello 0.1% rispetto al totale dei circa 7 miliardi di basi del nostro DNA.

Le differenze esistenti sono comunque sufficienti per calcolare i tempi di separazione tra differenti individui, che nel loro insieme formano differenti popolazioni. Più recenti saranno i tempi di separazione più simili saranno individui e popolazioni. In generale, la variabilità genetica viene misurata attraverso l'analisi di marcatori genetici, che tendono a variare da un individuo all'altro, mentre la loro frequenza e la loro distribuzione possono essere diverse in differenti popolazioni. Il potere di "risolvere" la diversità fra le varie popolazioni e di evidenziare differenze significative in sub-gruppi di individui all'interno di una determinata popolazione (ovverosia la sub-struttura) dipende dal sistema genetico analizzato. In particolare, nelle nostre cellule il DNA è ripiegato all'interno del nucleo in strutture denominate cromosomi che includono 22 copie denominate autosomi e 2 cromosomi del sesso rappresentati da due cromosomi X nel sesso femminile e da un cromosoma X e un cromosoma Y nel sesso maschile.

Molecole di DNA sono presenti anche al di fuori del nucleo: negli organuli denominato mitocondri. Oltre alle proprietà del singolo marcatore genetico, sono fondamentali anche le modalità di trasmissione della porzione di DNA su cui esso è localizzato. Il DNA presente sul cromosoma Y viene trasmesso dai padri a individui di sesso maschile, mentre il DNA mitocondriale viene trasmesso dalle madri a individui sia di sesso maschile che femminile. Infine il DNA presente nei cromosomi autosomici viene trasmesso da entrambi i genitori ai figli indipendentemente dal sesso. Un uso combinato di questi marcatori rappresenta certamente l'approccio più informativo.

La popolazione sarda
La popolazione sarda ha da sempre suscitato un notevole interesse in genetica umana sia per la peculiare distribuzione delle diverse varianti genetiche, sia per le numerose malattie su base genetica particolarmente frequenti nell'isola. Oggi è possibile stilare un primo bilancio delle evidenze accumulate nel corso degli ultimi anni e tentare di ricostruire alcuni avvenimenti della storia evoluzionistica di questa popolazione.

Dall'analisi dei vari sistemi genetici fin qui analizzati si evince che la popolazione sarda, pur collocandosi nell'ambito della variabilità europea, manifesti tutta una serie di caratterisitiche di unicità. Alcune varianti genetiche particolarmente frequenti in Sardegna sono rare o assenti in altre popolazioni, mentre altre varianti comuni al di fuori della Sardegna sono rare nell'isola. Queste caratteristiche peculiari si spiegano solo attraverso un lungo isolamento plurimillenario rispetto alle altre popolazioni.

Esistono inoltre numerose informazioni sulla distribuzione della variabilità all'interno dell'isola. Il miglior approccio per testare per l'eventuale esistenza di una differenziazione fra subregioni, è l'analisi della Varianza Molecolare (AMOVA). Quest'analisi permette infatti, di definire la distribuzione della variabilità (espressa come percentuale di variabilità), all'interno della popolazione in esame, fra sub-popolazioni e fra individui. Attraverso questa analisi è possibile definire quantitativamente il grado di differenziazione tra popolazioni e testare statisticamente il livello di tali differenze. Nelle varie subpopolazioni sarde considerate, la maggior parte della variabilità è presente all'interno delle popolazioni, si tratta cioè di una variabilità inter-individuale.

Infatti, meno del 1% della variabilità è presente fra le sub-popolazioni considerate e tale variabilità non è significativa, quando valutata da un punto di vista statistico. In Sardegna esiste quindi una notevole variabilità genetica interindividuale ma non esiste una significativa eterogeneità genetica nella distribuzione di tale variabilità quando si confrontano le principali macro-regioni dell'isola. Il fatto che macro-regioni come la Barbagia non si differenzino significamente rispetto a regioni costiere come l'area di Cagliari o di Oristano, indica che l'apporto genetico delle varie popolazioni che hanno occupato la Sardegna, Fenici, Punici, Romani, Bizantini etc, è stato sostanzialmente marginale.

Questa osservazione si spiega tendendo conto dei rapporti demografici fra invasori e sardi nativi, rapporti che erano decisamente a favore dei secondi. Infatti in base ai reperti archeologici e in particolare in base ai 7.000 nuraghi presenti nell'isola si è calcolato che circa 3.000 anni fa la popolazione sarda fosse pari a circa 200.000-300.000 individui.
Un altro aspetto interessante in questa sorta di viaggio nel tempo guidato dalla lettura del nostro DNA e rappresentato dal fatto che la notevole variabilità presente nella popolazione sarda generale suggerisce un numero relativamente alto di fondatori e/o una serie di eventi di fondazione in un arco di tempo sufficientemente lungo.

L'elevata variabilità interindividuale spiega inoltre anche una certa micro-differenziazione osservata comparando piccoli paesi dell'interno. Tale ridotta variabilità è legata al ridotto numero di persone che hanno fondato quei paesi che determinava una perdita casuale della variabilità presente in quei "micro-isolati".
L'analisi del cromosoma Y è particolarmente adatta agli studi di genetica di popolazioni. Infatti, mentre i cromosomi autosomici vanno incontro durante la formazione dei gameti a continui rimescolamenti con scambi di materiale genetico paterno e materno, il cromosoma Y viene trasmesso per la maggior parte della sua grandezza in blocco da maschio a maschio. Questa peculiare modalità di trasmissione semplifica la ricostruzione di una serie di processi del passato.

Nel loro insieme le evidenze sperimentali derivanti dallo studio del cromosoma Y nella popolazione sarda sembrano fornire una linea interpretativa orientata verso l'esistenza di due ondate di popolazioni fondatrici: una principale pre-Neolitica caratterizzata dalla presenza di mutazioni quali M26 e M173 particolarmente comuni in Sardegna, l'altra tardo neolitica marcata dalla presenza della mutazione M78. Poi dopo l'arrivo in Sardegna delle varie tribù di fondatori e nel corso dei millenni si sarebbero verificati scambi e flusso interno alla Sardegna che avrebbe contribuito al processo di omogeneizzazione intra-regionale nella distribuzione di tali varianti.
La conoscenza dell'assetto genetico delle popolazioni non solo permette di capire la loro origine, ma è anche essenziale per la ricerca dei geni coinvolti nella suscettibilità nei confronti di determinati tipi di malattie ovvero in tutta una serie di importanti caratteristiche come la risposta ai farmaci o le interazioni con la dieta e con altri fattori presenti dell'ambiente che ci circonda.

Quali sono quindi le implicazioni dello studio del DNA dei sardi per la comprensione delle malattie comuni in questa popolazione? L'attenzione del nostro gruppo di ricerca si è concentrata in particolare sullo studio delle malattie autoimmuni comuni in Sardegna che includono il diabete di tipo 1, la sclerosi multipla e la malattia celica.
Il diabete di tipo 1 è la malattia per la quale nel corso degli ultimi anni si sono accumulate più informazioni. Si tratta di una patologia causata dalla deficienza di insulina, dovuta alla distruzione delle sole cellule del corpo capaci di produrla effcientemente: le cellule beta del pancreas. I responsabili di questo processo sono un particolare tipo di cellule dell'apparato immunitario, denominate linfociti T.

Nei pazienti diabetici i linfociti T, venendo meno alla loro normale funzione di difesa dalle infezioni, non riconoscono più la proinsulina come costituente dell'organismo e la attaccano distruggendo le cellule beta del pancreas che la producono. La malattia che compare spesso, ma non esclusivamente, durante l'infanzia, mostra una differente incidenza in Europa: è alta in Scandinavia e bassa nell'area mediterranea, con una eccezione, la Sardegna che mostra inseme alla Finlandia la più alta incidenza al mondo. Si sa infatti che alla base del processo che causa questa forma di diabete esistono fattori genetici predisponenti. Lo studio delle basi genetiche di una determinata malattia è basato sulle differenze esistenti fra le persone. Nel nostro caso dobbiamo confrontare la sequenza e la frequenza dei geni in persone non diabetiche con quella di pazienti affetti da tale malattia. I geni più frequenti nei diabetici predispongono alla malattia, mentre i geni più frequenti nei non diabetici esercitano un ruolo protettivo.

Analizziamo anche come i geni predisponenti vengono trasmessi dai genitori ai figli malati. Lo studio del diabete di tipo 1 nella popolazione sarda ha contribuito alla comprensione delle cause scatenanti la malattia. Alcuni geni che regolano le risposte immuni e il processo di riconoscimento della proinsulina come costituente propria dell'organismo, sono stati identificati come fattori chiave nel determinare il rischio di contrarre la malattia. Alcune forme di questi geni determinano predisposizione, altre protezione.

Ma perché il diabete autoimmune è così frequente in Sardegna? Sappiamo che alcune delle principali varianti di predisposizone sono più frequenti nella popolazione sarda generale rispetto alle altre popolazioni. Queste varianti sono antiche ed erano già presenti in quegli individui che diverse migliaia di anni fa hanno popolato l'isola. Sappiamo quindi che le caratteristiche genetiche dei sardi a seguito di questi eventi inziali, denominati effetti fondatori, conferiscono un aumentato rischio di contrarre il diabete e altre malattie comuni nell'isola.

L'analisi genetica nell'uomo sta subendo una fortissima accelerazione dovuta alla conoscenza e decifrazione della sequenza lineare del nostro genoma. Questo offre ai genetisti la possibilità di studiare le malattie molto più accuratamente di quanto sia mai accaduto precedentemente. Grazie a tali progressi e alle nuove tecnologie, ad esempio sistemi di caratterizzazione molecolare ad alta efficienza e sistemi di calcolo veloci, non si è mai avuta un'opportunità tanto grande di capire la genetica delle malattie. Comunque, malattie come il diabete non sono solo una questione di geni. Nei paesi cosiddetti ricchi, il numero di pazienti con questa malattia è in rapida crescita e questo non può essere spiegato dai fattori genetici. Qualcosa nell'ambiente è cambiato e sta cambiando nei paesi occidentali anche se i cambiamenti ambientali avvenuti negli ultimi 50 anni sono stati così tanti da rendere problematica l'identificazione di quelli effettivamente coinvolti in tale aumento di incidenza. La ricerca dei fattori ambientali implicati nella predisposizione al diabete e' ulteriormente complicata dalla loro interazione con i geni, o meglio con le proteine codificate dai geni. Infatti le proteine che costituiscono il nostro organismo interagiscono con le proteine di origine esterna, per esempio quelle di origine batterica o virale oppure quella che derivano dalla dieta.

Un'analisi sistematica del diabete di tipo 1 e di altre malattie autoimmuni nella popolazione sarda consentirà quindi non solo una maggiore comprensione della natura e della funzione dei geni che predispongono alla malattia, ma anche della loro interazione con l'ambiente.

Francesco Cucca
Genetista dell'Università di Sassari


Biografia
Francesco Cucca
Nato 48 anni fa a Cagliari, pediatra, allievo del Prof. Antonio Cao, insegna Genetica Medica nella Facoltà di Medicina dell'Università di Sassari. Si dedica da diversi anni allo studio delle basi eziopatogenetiche delle malattie autoimmuni multifattoriali, in particolare il diabete di tipo 1, la sclerosi multipla e la malattia celiaca (tematiche affrontate anche nel corso della permanenza all'Università di Oxford, dove ha lavorato dal 1994 al 1997 nel gruppo di ricerca coordinato da John Todd, Professor of Medical Genetics alla Wellcome Trust for Human Genetics). Rientrato in Sardegna ha costituito un gruppo di ricerca cui dobbiamo una serie di lavori scientifici sulle basi genetiche delle malattie multifattoriali e sulla struttura della popolazione sarda e di altre popolazioni contemporanee.

Link utili
Università degli studi di Sassari